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IL LAGO DI LUCRINO E L’ERUZIONE DI MONTE NUOVO Il mito vuole che sia stato Eracle a creare l’istmo, che separava il lago di Lucrino dal mare, nel trasportare i buoi di Gerione dall’isola Eritea, nell’oceano, in Grecia e in memoria del mitico eroe la strada costruita su questa striscia di terra fu chiamata Via Heraclea. Il taglio dell’istmo fu effettuato probabilmente dall’architetto Cocceio intorno al 37 a.C. Il lago in origine occupava una superficie molto più ampia che andava da Punta dell’Epitaffio a Punta Caruso. Sul finire del I sec. a.C. un canale navigabile mise in comunicazione il lago di Lucrino col lago d’Averno. Intorno al 100 a.C. Lucio Sergio Orata vi impiantò allevamenti intensivi di pesci, frutti di mare e ostriche che godettero di grande fama in tutto il mondo romano. La bellezza e la ricchezza del lago, con i suoi colli verdi intorno, le terme naturali vicine, la sua pescosità, ne fecero un’attrazione e una meta ambita per la classe dirigente romana, infatti, sulle sue sponde si costruirono splendide ville come, ad esempio, quella di Cicerone. L’attività sismica del sottosuolo mutò radicalmente la geografia del luogo. Intorno al X secolo il suolo si abbassò notevolmente, il lago fu del tutto sommerso dal mare insieme alle lussuose ville che lo costeggiavano e la linea di costa arretrò fino alle sponde del più interno lago d’Averno. Nei secoli successivi notevoli movimenti tellurici portarono alla riemersione del tratto di costa e all’eruzione che creò Monte Nuovo. Le cronache raccontano che l’eruzione avvenne nella notte tra il 29 e il 30 settembre 1538. La zona di Tripergole col suo villaggio, e le terme che l’avevano resa famosa sprofondò e scomparve completamente. Si aprì una voragine da cui eruttarono pietre e lapilli che in tre giorni formarono quella collina cui si diede il nome di Monte Nuovo. L’eruzione ridusse notevolmente l’estensione dell’antico lago Lucrino: la sua parte orientale, allora ancora coperta dal mare, si riempì di materiale eruttivo. L’attuale lago di Lucrino si è formato solo alla fine del XVII secolo. Testimonianze autorevoli dell'epoca (Simone Porzio, Marcantonio Delli Falconi e Girolamo Borgia) descrissero dettagliatamente l'evento, caratterizzato dall'alternanza di fumi bianchi e nerissimi. Raccontarono di strage di volatili, di alberi sradicati ovvero di altri piegati dal peso dei materiali emessi dal vulcano e dell'affioramento di sorgenti tra i resti di edifici distrutti. Alcuni mesi dopo Piero Giacomo da Toledo descrisse l'eruzione in un tomo da lui pubblicato, in cui parla dello strano fenomeno verificatosi il giorno prima dell'esplosione udita fino a Napoli e che riguardava il ritiro del mare di oltre trecento metri. Precisò, inoltre, che l'eruzione durò due interi giorni accompagnata da ripetuti boati ed emissione oltre che di ceneri e fumi anche di enormi pietre. Raccontò che solo il terzo giorno il vulcano offrì una tregua che consenti, al diradarsi dei fumi più densi, di raggiungere il ciglio del "cono" formatosi, dal quale lui stesso insieme ad altri potè osservare la caldera, all'interno della quale ribollivano pietre ed acqua. Riportò, ancora, che l'eruzione riprese il quarto giorno e che il settimo un'esplosione più forte e improvvisa causò la morte di numerosi curiosi. Le dette testimonianze fanno ormai parte della letteratura scientifica ed hanno fornito un interessante contributo per la conoscenza e lo studio dei fenomeni caratteristici dei Campi Flegrei.
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